L’Italia è una Repubblica democratica, fondata sul lavoro.

Così recita il primo articolo della costituzione italiana, chissà quante volte lo abbiamo sentito a scuola o alla televisione, in bocca al politico di turno.

Certe affermazioni forse ora andrebbero trasformate, almeno nel tempo verbale.

L’Italia Era una repubblica democratica, fondata sul lavoro.

Ora non lo è più, perché distrutta da una congiuntura economica sempre prossima alla fine, ma mai “disponibile” a esalare gentilmente il suo ultimo respiro.

Ne sa qualcosa la nostra laboriosa provincia e i dati che ne conseguono sono più impietosi di un tre in pagella. 8,6% di disoccupati, aumentato dello 0,1% confronto all’anno passato.

I senza lavoro “certificati” sono in tutto trentacinquemila, il 25% dai 15 ai 24 anni, l’8,7% per chi va dai 25 ai 34 anni, il 6,6% per le persone vicine ai quarant’anni.

Anche nel varesotto non ci si annoia mai, il tempo alita sul collo dei lavoratori e non fa altro che dir loro di correre, di marciare come bravi soldatini, battere il passo al tempo di una lancetta d’orologio capace di segnare solo l’ora dell’ansia.

Oggi è il Primo Maggio, quasi tutti gli italiani staccheranno la spina.  

È cosa succederà? Da qualche parte, su di un palco di cartapesta, i segretari delle tre sigle sindacali più importanti del paese urleranno i soliti discorsi, propinati a una folla di bandiere stanche di sventolare e dal colore smarrito, sorrette da lavoratori stanchi e  incazzati, con rughe seminate su visi che ormai ne hanno viste di tutti i colori.

Slogan triti e ritriti verranno liberati nell’aria come colombe, mentre la folla smorta verrà aizzata con l’ennesimo ultimatum al sordo governo di turno, difensore di una flessibilità travestita da precariato, custodia inamidata di salari bloccati come un casello autostradale.

Tutto questo mentre a Roma un milione di giovani verrà puntualmente abbindolato dal sudato concertone, infarcito da cantautori sinistroidi e pseudo rivoluzionari, pronti a palesarsi solo quando c’è un nuovo album “sociale” da promuovere. Perché Il Primo Maggio sono tutti compagni! Tutti “Fedeli alla linea”! Ma il due del mese, se si vuole assistere a un mirabolante spettacolo di protesta più finto di una soap opera, si dovrà sborsare un ricco cachet.

La Repubblica riconosce a tutti i cittadini il diritto al lavoro e promuove le condizioni che rendano effettivo questo diritto.

Tanti forse non sanno che questa festa ha origini a stelle e strisce, in ricordo alle battaglie operaie, e alla conquista di un diritto ben preciso: l’orario di lavoro quotidiano fissato in otto ore.

A far cadere definitivamente la scelta su questa data furono i gravi incidenti accaduti nei primi giorni di maggio del 1886 a Chicago (USA) e conosciuti come rivolta di Haymarket.

Il 3 maggio i lavoratori in sciopero di Chicago si ritrovarono all’ingresso della fabbrica di macchine agricole McCormick, la polizia sparò sui manifestanti uccidendone due e ferendone diversi altri.

Per protesta i lavoratori locali organizzarono una manifestazione da tenersi nell’Haymarket square, la piazza che normalmente ospitava il mercato delle macchine agricole, la polizia sparò ancora provocando numerose vittime.

Il quadro che rappresenta alla perfezione questa ricorrenza è senza ombra di dubbio  “Il Quarto Stato” di Giuseppe Pellizza da Volpedo, datato 1901.

Un paese di campagna, è il mattino d’una giornata d’estate, due contadini avanzano precedendo un’ordinata massa di giovani lavoratori, tutti sono pronti alla protesta contro il “padrone”.

Senza cellulari ultratecnologici, social network, selfie e cantastorie travestiti da politici.

Bensì soli, in compagnia di quel coraggio che ci sta abbandonando.

Giorno dopo giorno.

 

Carlo Albè