Musica, cultura, Torino, Italia: Cisco racconta.
Vent’anni fa, “Mani Pulite” segnava la fine della prima Repubblica, trasformando profondamente il nostro paese.
In quell’epoca di transizione, nasceva il gruppo musicale Modena City Ramblers, che avrebbero trovato, in Cisco, la nota giusta per dare voce al popolo che li ascoltava, diventando in breve tempo una delle band italiane più seguite e apprezzate anche all’estero.
In questo 2013, a vent’anni di distanza, gruppo e voce hanno scelto strade differenti, creando percorsi diversi verso nuovi sfide e traguardi.
Cisco, la voce, ha scelto luoghi raccolti, sonorità intime e legate alla sua riflessione personale, ascoltando le paure e le speranze che animano la sua musica.
Abbandonate le grandi piazze, i grandi inni politici, ha stabilito un rapporto più riflessivo con il suo pubblico, scegliendo luoghi più piccoli e adatti a valorizzare la musica in quanto cultura e espressione personale.
L’incontro con lui è in uno di questi luoghi, la Maison Musique di Rivoli, a poche ore dal suo concerto.
Si parla di musica, cultura, Torino e Italia, con un po’ di sconforto, ma, soprattutto, grande ironia e speranza nel futuro.
Infatti, il “temibile” Cisco è un ottimista.
Vent’anni di musica, canzoni, storia. Riassumendoli, cosa ti porti dietro?
Nella storia di ognuno di noi ci sono dei numeri particolari.
Nella mia, ad avere un significato particolare è il 20.
Quando avevo vent’anni, pensavo di essere un uomo, e non lo ero.
Solo due anni dopo ho incontrato i Modena City Ramblers, ed è cominciata la nostra avventura.
Adesso, con questo tour, ho voluto fare il punto, tirare una riga e provare a raccontare il percorso che mi ha condotto sin qui.
Guardandomi indietro, la domanda che mi pongo è “come ho fatto a realizzare tutto questo?”.
Le date, i concerti, le collaborazioni, i tantissimi pezzi scritti si sono rincorsi in 15 anni di storia con il gruppo e, devo dire, il ritmo incalzante mi ha portato anche a sfiancarmi un po’.
Inoltre percorrendo a ritroso e ricordando questo periodo nel tour “Indietro Popolo” racconto, oltre alla mia storia, com’era l’Italia nel 1992, quando sembrava che il nostro paese stesse per vivere una grande rivoluzione culturale, che l’avrebbe trasformato totalmente e profondamente, fino a renderlo ciò che è oggi.
Io, con i Modena City Ramblers, ero in mezzo a quel cambiamento, e oggi assisto a questi terribili anni della crisi.
L’Italia è peggio di prima? Io lo temo, ma spero che non sia così.
Indietro Popolo, è anche un urlo di esortazione e di speranza, un invito a svegliarci da questo incubo, in cui abbiamo perso la via del nostro destino.
Per recuperarlo, pur essendo un percorso attraverso eventi molto spesso tragici, non possiamo cambiare la storia, ma solo affrontarla con onestà ed ironia.
Anche la tua musica è variata molto. Basta pensare ad un cd come “Radio Rebelde” e all’ultimo lavoro, “Fuori i secondi”.
La prima differenza è ovviamente che, mentre “Radio Rebelde” è stato composto da un gruppo, ed è quindi espressione di molte menti e riflessioni musicali diverse, “Fuori i secondi” porta avanti le idee di un singolo, ” Io”, divenendo così una raccolta di pezzi quasi cantautorali.
Con i Modena City Ramblers, infatti, ero la voce di un gruppo, che dava voce a un intero popolo.
Ora sono io solo, Cisco, che si confronta con anni più riflessivi, più intimi, in cui l’io collettivo è preceduto dall’Io personale.
Una volta spariti gli inni di piazza, ciò che rimane sono gli urli personali.
Oggi, infatti, l’unità dei popolo è costituita dallo schermo, che sia di un computer o di un televisore, che, pur mantenendoci divisi fisicamente, ci unisce tutti in una grande rete.
Questo accade specialmente tra i giovani: rispetto alla nostra generazione, i ragazzi non vivono più la dimensione della piazza, ma discutono dalle proprie stanze, giungendo nella loro solitudine a un ragionamento collettivo.
Che cosa pensi della nostra città?
Torino è stata – forse lo è ancora – una capitale della cultura degli ultimi dieci anni, piena di grandi cambiamenti.
Qui, nei suoi pub e circoli, nascevano continuamente gruppi, che non hanno influenzato solo la cultura torinese, ma sono grandi voci della musica italiana stessa. I Persiana Jones, gli Africa Unite, Mao Mao, Subsonica e molti altri: tutti musicisti che hanno segnato e continuano a segnare la cultura del nostro paese.
Inoltre due grandi amici che spesso viaggiano con me sono torinesi: Paolo Verri e Paolo Ferrari, alias “Paolone”. Sono entrambe persone vive e ricche, attente a ciò che accade nel mondo, che sanno scrivere e descrivere.
Di Torino è anche Davide Ferrario: questo regista ha saputo darmi tanto, con lui ho realizzato molte tappe di questa mia avventura.
Penso dunque che, nonostante questa crisi, Torino saprà continuare a dare molto al mondo culturale e musicale, sia coltivando i nomi storici, che presentando i nomi nuovi di coloro che, in questo periodo, si stanno facendo strada nel mondo musicale.
In questo periodo, a Torino come in Italia, la musica sta tornando dalle grandi piazze ai piccoli pub. Cosa pensi di questo “ritorno alle origini”?
Io sono favorevole a questo ritorno ai luoghi intimi e raccolti.
La musica è adatta al contatto intimo e speciale che si crea con il pubblico, tipico di luoghi più piccoli e raccolti, di concerti meno plateali, ed è proprio lì che sta tornando, portando maggiore soddisfazione sia agli ascoltatori che, soprattutto, ai musicisti.
Quale musica ti influenza? E quali sono i tuoi pezzi preferiti?
Ogni pezzo che ho scritto è importante, perché è ciò che penso: in ogni canzone ci ho sempre messo il cuore e tutto me stesso, con totale sincerità.
A volte, certamente, sono stato frainteso e le mie parole sono state travisate, ma la mia storia musicale è molto chiara e leggibile, proprio perché basata sull’onestà.
Tra i tanti pezzi che ho composto, “Ebano” è la canzone che mi porto dietro.
Nacque da un’idea che, per molto tempo, è rimasta in un cassetto, come bozza, con un testo molto diverso da quello attuale.
Infatti, con i Modena City Ramblers, andammo due volte in Sudafrica a suonare, e la prima volta dormimmo in un edificio coloniale, un hotel all’epoca rinomato, ma ora decadente, come molti altri edifici: il Parade Hotel.
Sotto l’albergo, c’era il Jackos bar, un luogo malfamato, frequentato da prostitute di colore provenienti da molte parti d’Africa, e, andandoci, scambiammo due chiacchiere.
Parlando con loro, scoprii proprio la storia di Ebano, che mi rimase in testa nella notte.
Il giorno dopo, avevo in testa il ritornello, con il giro d’accordi della canzone, sempre lo stesso, all’infinito.
Alcuni anni dopo ho composto il testo definitivo, che è quello che sentite nei concerti.
Un altro pezzo particolare è “Bella Ciao”, con cui sento sempre una comunione particolare con il pubblico: è una canzone speciale, per tutti.
Come nascono i tuoi pezzi?
I miei pezzi nascono leggendo un libro e chiudendolo di botto.
Ad esempio, un libro parlava di un attentato in un bar.
Lungo i capitoli, la storia mi fece pensare alla “Locomotiva”, di Guccini – un pezzo che lui stesso definisce popolare –, finché giunsi a quella frase: come se il mondo finisse stanotte.
Da lì, è nato il pezzo “come se il mondo finisse stanotte”.
Altre volte, mi ispiro a una figura che ho conosciuto, o a un libro.
Prima di essere Cisco?
…Sono sempre stato Cisco.
A 8 anni, infatti, giocavo a calcio e, sulla maglietta, per abbreviare “Stefano Bellotti” mi chiamavano Cisco.
Da allora sono rimasto tale.
A 22 anni, quando cominciai a cantare con i Modena City Ramblers, lavoravo in una fabbrica e facevo i turni di notte.
Poi, ho lavorato in un negozio di dischi.
Cosa diresti a un giovane che si avvicina alla musica, partendo da Torino?
Gli dico di pensare a divertirsi.
Mi sembra di capire che, oggi, ci sia la convinzione di dedicarsi alla musica per trovare un lavoro.
Prima di tutto, non è detto che sia immediato: all’inizio, noi, i Modena City Ramblers, siamo andati avanti con i rimborsi spese, e, tra una data e l’altra, lavoravamo.
Per fortuna, grazie ai nostri lavori, avevamo la possibilità di suonare per divertirci.
Pur essendo cambiati i tempi, ritengo che non sia possibile farlo per trovare un lavoro: è fondamentale, infatti, suonare cercando di divertirsi e pensando, in primo luogo, a se stessi.
Fare realmente strada, in questo mondo, è molto difficile: solo 1 su 1000 ha la fortuna di riuscire a vivere di musica.
Dunque, se quegli altri 999, mentre suonano e cantano, si divertono e ne sono felici, è un grande successo!
Chi riesce a vivere di musica, secondo me, non è colui che lo fa per soldi, ma chi ha delle cose da dire, in modo originale, divertendosi e in compagnia, qualsiasi genere suoni.
È fondamentale, infatti, mettere sincerità e passione nella musica che si compone, si canta e si suona, senza ricorrere ai “gruppi in provetta”: non credo che quello sia un metodo per fare buona musica.
Come vedi l’italia dei prossimi anni?
In modo molto negativo.
Se avessi tra i venti e i trenta anni, andrei via.
Purtroppo, io non lo posso più fare, se fossi un ragazzo, non ci penserei nemmeno un momento.
Il nostro paese, infatti, non sa imparare dai propri errori.
Però, voglio essere ottimista: qualcosa cambierà, anche grazie a persone che torneranno dopo essere andate via.
Questa decadenza sociale è causata, a mio parere, dall’arrivismo della continua apparenza, riassumibile in “Berlusconismo”.
Aldilà del personaggio, che, sinceramente, mi scatena ilarità, il suo fenomeno ha spostato l’attenzione dai reali problemi del paese, trasformando la società in un continuo apparire.
Un meccanismo malato portato al continuo arrivismo e all’apparire. Bisogna essere bellissimi e di successo per contare qualcosa, anche a scapito degli altri.
La domanda che nessuno ti ha mai posto? E quella a cui non vorresti mai rispondere?
Alla prima, rispondo con un desiderio: cosa vorrei come epitaffio, sulla mia tomba.
Io sono un appassionato di vecchi programmi televisivi e di musica.
In particolare, io amo il telefilm “il tenente Colombo”.
In una puntata della serie, il cattivo, che il tenente deve incastrare è Johnny Cash, e, ovviamente, l’episodio termina con il suo arresto.
In una delle ultime scene, Colombo, che l’ha smascherato, ascolta con lui una sua musicassetta, in macchina.
Parlano del fatto che, comunque, Johnny avrebbe finito per costituirsi.
Colombo, afferma, infatti, che “Un uomo che canta così… non può essere del tutto malvagio”.
Spero che la frase del mio epitaffio sia proprio questa!
La seconda domanda, invece, è quella “Perchè hai lasciato i Modena City Ramblers?”.
Aldilà del percorso che ho fatto, e pur non pentendomi di aver intrapreso la mia strada, la risposta a questo quesito mi mette sempre in difficoltà: ci sono così tanti motivi, ogni volta diversi che, in cuor mio, dò sempre risposte diverse.
Tutte sono veritiere, e insieme costituiscono la motivazione generale e totale che mi ha portato a questa scelta.
Un augurio a tutti noi.
L’augurio che posso fare è di svegliarci, riprendendo in mano il nostro destino, come singoli e come popolo.
Infatti, a mio parere, l’abbiamo perso di vista.
Per informazioni su date, concerti e per i cd: www.ciscovox.it
ecco il link dell’intervista:
http://www.torinonline.eu/article/musica-cultura-torino-italia-cisco-racconta#.UVBnuv_VCvw.mailto
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