JULIUS NYERERE. LA VIA AFRICANA AL SOCIALISMO
Mezzanotte dell’otto dicembre 1961, a Dar es Salam, in uno stadio gremito di gente, viene ammainata la bandiera inglese, si alzano i colori del nuovo Stato del Tanganika. Presidente è Julius K. Nyerere nato nel 1922 a Butiama – studi secondari in Uganda, università a Edimburgo. Tornato in patria ed entrato nel Movimento nazionale d’indipendenza, ne assume la direzione nel 1955. Della sua capacità di elaborazione politica sono testimoni numerosi testi pubblicati durante il corso del suo lungo mandato; della sua cultura letteraria restano le traduzioni in swahili di Shakespeare. In quella notte del 1961 si assiste ad una cerimonia del tutto pacifica, l’indipendenza raggiunta senza le violenze e gli odi che hanno caratterizzato, in circostanze simili, molti paesi africani. Nyerere, l’artefice di questo processo, la definisce “un’indipendenza di bandiera”, un punto di partenza per costruire il Paese e restituirgli la sua “anima”. Tre sono i principii guida enunciati, ai quali Nyerere sarà fedele durante tutto il suo mandato: il rispetto per la persona umana, da cui il rifiuto di ogni discriminazione, soprattutto razziale; la promozione dell’uguaglianza tra uomini, gruppi e nazioni; il riconoscimento a tutta la popolazione dell’accesso alla terra. Il nuovo Stato è povero di risorse naturali, eterogeneo nella sua popolazione (ben 127 etnie!), squilibrato nella distribuzione delle risorse sul territorio, frammentato da diversità linguistiche. Il sistema scolastico è inesistente. Nel 1961, su 10 milioni di abitanti, c’è un solo ingegnere, nove veterinari, 16 medici, nessun magistrato, nessun architetto. Eppure, da questa realtà carente nell’economia, nella cultura, nelle strutture statuali, nella formazione professionale nasce la speranza del “socialismo africano”, la cosiddetta “esperienza tanzaniana”, il sogno di Nyerere. La sua presidenza, dal 1961 al 1985, con le sue luci e le sue ombre, caratterizza talmente quei primi venticinque anni di indipendenza da legare indissolubilmente il suo nome a quel frammento di storia tanzaniana nella quale, come ampiamente riconosciuto, ci si confronta con una realtà originale, fattrice di questa originalità. Pochi paesi africani possono vantare un tale confronto di idee, una tale abbondanza di informazioni, tentativi teorici così ricchi, tali da poter parlare di “dibattito tanzaniano”.
UHURU E UJAMAA
Uhuru e Ujamaa sono i termini chiave della politica di Nyerere. Uhuru vuol dire indipendenza, ma anche libertà e le due accezioni verranno usate tanto in politica estera che in politica interna. Per la prima accezione, indipendenza, Nyerere mette subito le carte in tavola affermando che nessun africano potrà sentirsi veramente libero fintanto che una parte del continente rimarrà sotto la dominazione coloniale: da qui l’impegno contro il colonialismo e l’apartheid. La fermezza della politica di Nyerere porta la Tanzania a ritirare il proprio ambasciatore da Washington (1964) e a rompere i rapporti diplomatici con Londra, quando quest’ultima accetta il governo minoritario bianco della Rodesia dopo l’indipendenza (1965). Problemi sorgono anche con la Germania in occasione dell’unione del Tanganika con Zanzibar (1964), unione non condivisa dalla Repubblica federale tedesca. Le conseguenze di questa politica sul piano degli aiuti finanziari sono pesanti. Nyerere si rivolgerà alle organizzazioni internazionali, ai paesi socialdemocratici del Nord-Europa, alla Cina. Ma presto si renderà conto della debolezza dei primi e della scarsità degli aiuti della seconda. Dai conflitti e dalle delusioni nasce la coscienza della fragilità e dei ricatti ai quali questa fragilità può dar luogo: piegarsi ai “consigli” degli eventuali donatori e ricevere finanziamenti dall’estero, o praticare con tutti i mezzi l’indipendenza del paese e rischiare così i contributi promessi. Nyerere e il suo governo sceglieranno senza esitazione la seconda strada, consapevoli che ciò vuol dire adottare una strategia di sviluppo basata sulle proprie forze ed in funzione delle risorse disponibili nel paese. Dunque, indipendenza ma anche libertà, la seconda accezione di uhuru, e cioè lavoro comune e collettivo che utilizzi essenzialmente le risorse locali (ujamaa) per una politica di sviluppo che assicuri l’indipendenza della nazione. Ujamaa e uhuru sono termini swahili, e Nyerere si sforzerà di pensare la politica in questa lingua per espellere quella del colonizzatore. Lingua che diventa quella ufficiale della Tanzania, nella quale pronuncerà tutti i suoi discorsi e che sarà un forte strumento di coesione per la popolazione. L’obiettivo è la costruzione di una “società giusta di cittadini liberi e uguali […. ] che controllano il proprio destino e insieme cooperano in uno spirito di fraternità umana per il loro mutuo beneficio. ” Lo strumento è l’ujamaa, che sta ad indicare sia l’insieme delle relazioni familiari allargate come modello di vita sociale, sia la cooperazione nel lavoro sotto l’egida dello Stato e l’aiuto reciproco per assicurare il benessere e la divisione dei frutti della comune attività. Il socialismo di Nyerere sta tutto nell’idea politica dell’ujamaa: è un socialismo adattato alla realtà della Tanzania, che disconosce le ideologie e le pratiche straniere; si oppone al capitalismo e mira a costruire una società felice senza sfruttamento dell’uomo sull’uomo, ma si oppone al socialismo dottrinario, fondato sul conflitto tra l’uomo e il suo simile.
SOCIALISMO ED ETICA
Il socialismo di Nyerere è una sorta di etica sociale, che “non ha niente a che veder con il possesso delle ricchezze”. E’ un socialismo che rifiuta le ideologie e le esperienze che vengono dall’estero perché “Occorre costruire un ordine nuovo partendo dalle radici africane. La comunità era un’unità nel cui seno ogni individuo era importante e nella quale i beni erano divisi senza dar luogo ad eccessive ineguaglianze. E’ fondamentalmente questo che noi vogliamo dire, quando definiamo la società tradizionale africana come socialista. ” Con la Dichiarazione di Arusha del 1967 Nyerere dà inizio alle grandi riforme. Si nazionalizzano le banche, quasi tutte le industrie, le compagnie di assicurazione, ma l’intervento più impegnativo è quello in campo agricolo, che è il fulcro dell’ economia del paese. La rivoluzione agraria si chiama ujamaa vijijini, socialismo nei villaggi. Nei villaggi viene infatti raggruppata la popolazione dispersa nel grande territorio, perché viva in comunità rurali, economiche e sociali, affrancandosi dalla dipendenza degli aiuti esterni. L’educazione svolge un ruolo importante e Nyerere lo sottolinea tracciando nel marzo 1967 le linee di una profonda riforma dell’insegnamento dove non ci sia più posto per i valori che insistono sulle ineguaglianze. L’insegnamento dovrà, quindi, lottare contro la tentazione dell’arroganza intellettuale e contro il disprezzo del lavoro manuale; promovendo nel cittadino la fiducia in se stesso in quanto membro libero di una comunità solidale. La scuola elementare, gratuita, svolgerà un ruolo primario nell’intero ciclo degli studi. Pienamente integrata nella comunità, sarà dotata di un campo di applicazione agricola, che servirà tanto alla formazione che alla sussistenza della scuola stessa.
LA SIMBIOSI PARTITO-STATO
L’insieme delle riforme messe in cantiere richiede uno Stato forte che diriga i cambiamenti, così come il benessere di tutti può essere garantito solo da un governo stabile e coeso. Il partito unico, riconosciuto tale dalla Costituzione adottata nel 1965 è la soluzione al problema. La simbiosi partito-stato porta ad una concentrazione di poteri che si tradurranno nella fusione tra funzioni amministrative e di partito. Si instaura un forte dirigismo che mette in pericolo le basi della democrazia. Il riequilibrio dei poteri tra governanti e governati è un problema da affrontare subito, e le relative misure non si fanno attendere. Contemporaneamente alla Dichiarazione di Arusha, viene adottato un codice di comportamento per i dirigenti del partito: è proibito possedere azioni o essere amministratori di società private, è vietata la proprietà di immobili, esclusi quelli di abitazione, ricevere più di uno stipendio. In sintesi, i dirigenti dovranno dissociarsi da qualsiasi iniziativa a carattere capitalistico o feudale. Si lancia una grande campagna di educazione politica in cui si spinge la popolazione a non restare passiva davanti alla tirannia dei dirigenti, a scrollarsi di dosso l’eredità coloniale e la sottomissione all’autoritarismo. Non bisogna piegarsi all’arbitrio, ma combatterlo e denunciarlo in tutte le occasioni e a tutti i livelli. La dialettica del controllo deve potersi sviluppare nei due sensi: dall’alto in basso e viceversa. Ritroviamo il concetto di indipendenza-libertà (uhuru) con la sua capacità di adattarsi alle situazioni e con gli spazi che offre agli aggiustamenti ed ai compromessi. Vengono forniti al popolo gli strumenti per criticare i potenti, difendersi e, se del caso, attaccare (saranno costretti alle dimissioni anche ministri ed alti dirigenti). La fiducia in se stesso, così acquistata dal cittadino tanzaniano, lo porterà a possedere un alto senso della dignità, difficilmente riscontrabile in altri popoli del continente africano. Quando, nel 1985, Nyerere lascia la carica presidenziale, il Paese affronta la successione in condizioni di completa normalità e calma. Il Mwulimu (Padre della Patria, come sarà chiamato dai tanzaniani) ha svolto un ruolo decisivo nella costruzione dello Stato, ma non si è mai imposto come il solo ed unico detentore del potere. Lascia alla Tanzania una vera indipendenza fatta di ideali, di aspirazioni, di diritti ad intraprendere, a riuscire e a sbagliare, di relazioni sociali ormai radicate nella realtà del paese. Lascia una cultura politica creata insieme al suo popolo: “A ciascuno di voi individualmente, a tutti quelli che sono organizzati nei villaggi, nelle cooperative, nelle diverse professioni, a tutti i lavoratori onesti che hanno contribuito al nostro sviluppo, a tutti io dico grazie. Insieme abbiamo costruito una Nazione. ” A quasi vent’anni dal discorso d’addio di Nyerere, la Tanzania ha subito notevoli cambiamenti, politici (dal 2000 il partito non è più unico), economici e sociali, non tutti positivi. Ci piace, però, pensare che le radici dell’albero piantato da Nyerere, per usare un’espressione swahili, siano talmente profonde da resistere agli attacchi del nuovo colonialismo delle multinazionali e delle grandi organizzazioni internazionali.
* Fa parte delle associazioni “Miche”(I germogli) e “Le impronte degli uccelli”,che operano in Tanzania
ottobre 2002
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AFRICANEWS
Versione italiana
N.23 – Febbraio 2000
Tanzania
L’impeccabile visione di Nyerere
di Laurenti Magesa
Quali sono stati i risultati più importanti ottenuti da Nyerere? Il valore che dava alla dignità umana e la sua battaglia per un’Africa unita sono fuori discussione. Nonostante i suoi difetti, i suoi sforzi sono stati tutti volti al benessere collettivo.
Tra le questioni che hanno dominato e continueranno a dominare il dibattito sull’ex Presidente della Tanzania Julius Kambarage Nyerere, scomparso nell’ottobre del 1999, ci sarà anche quella della sua visione della Tanzania e del mondo. Quale era? Quali erano i suoi punti di forza e le sue debolezze? Quali erano le conseguenze della sua applicazione come strategia politica? Naturalmente queste sono domande con inevitabili implicazioni sociali, economiche e politiche, tutte chiaramente presenti nelle analisi della vita dell’ex Presidente, che ha guidato la Tanzania dal 1964 al 1985. Così i risultati ottenuti da Nyerere in campo sociale sono solitamente considerati molto positivamente in termini di coesione nazionale (con l’uso del kiswahili come lingua nazionale), e di sviluppo di infrastrutture per l’istruzione e la sanità (con la costruzione di scuole elementari e centri sanitari in quasi ogni villaggio durante la sua presidenza). Al contrario le sue politiche economiche sono state considerate un fallimento, in particolare per quello che riguardava i villaggi Ujamaa o il lavoro cooperativo. Il contributo politico di Nyerere va oltre le frontiere della Tanzania ed è motivo di ammirazione anche tra i suoi detrattori. Il suo ruolo nel sostegno alle battaglie di liberazione dal colonialismo in Mozambico, Zimbabwe, Namibia e in Angola e dall’apartheid in Sudafrica è innegabile. A questo proposito era deciso e irremovibile, nonostante gli enormi costi economici che questo comportava per la Tanzania. L’Organizzazione dell’unità africana (OUA) di cui Nyerere è stato in parte ispiratore insieme a altri luminari africani quali Gamal Abdel Nasser dell’Egitto, Sekou Toure della Guinea, Nkame Nkruma del Ghana, e Jomo Kenyatta del Kenia, esiste tuttora. Si spera che si rafforzerà e acquisirà maggiore capacità di risolvere le varie crisi africane. Il sogno che ha perseguito tutta la vita di far nascere qualche forma di unità africana si è in parte realizzato con l’unità di Tanzania e Zanzibar che nel 1964 hanno formato la Tanzania. Di nuovo, si spera che possa sopravvivere e rafforzarsi. Il grado di successo o insuccesso di Nyerere e della Fondazione Nyerere nel tentativo di stabilire la comprensione reciproca e la pace in Burundi è ancora da stabilire. Anche il suo impegno nel tentativo di realizzare una stabilità politica in tutta la regione dei Grandi Laghi attraverso la sua influenza personale è stato riconosciuto. E rimane comunque incontestabile il valore del suo contributo alla consapevolezza diffusa dell’ingiustizia sistematica della struttura economica mondiale quando era Presidente della South Commission. Nyerere ha commesso errori di giudizio politico? Forse il più lampante, secondo molti, è stato il suo sostegno al Colonnello Chukwuemeka Ojukwu durante la guerra civile in Nigeria. Ojukwu era a capo della comunità igbo, che voleva separarsi dalla Nigeria. Alcuni considerano anche il suo sostegno al secondo regime di Milton Obote in Uganda un errore politico. Ma per valutare le decisioni di Nyerere anche in queste circostanze è fondamentale capire perché ha agito come ha agito. Quali erano le sue motivazioni? Se si dovesse giungere alla conclusione che era motivato da considerazioni puramente politiche e di convenienza, allora sarebbe difficile capire questi errori e conciliarli con la persona di Nyerere. Ma no: anche se i fattori politici devono avere avuto un ruolo, è stato abbastanza secondario. La spinta che ha guidato Nyerere nel corso di tutta la sua carriera e la sua vita è stata morale. La sua lotta per l’indipendenza del Tanganyika a partire dalla metà degli anni cinquanta aveva come ispirazione delle considerazioni etiche, che ha spiegato a Ikaweba Bunting del New Internationalist poco prima della sua morte. Attraverso la battaglia per l’indipendenza, ha spiegato, intendeva arrestare ‘la sofferenza di una grande fetta di esseri umani attraverso le azioni di altri.’ Voleva sfidare e screditare ‘l’arroganza di un gruppo di persone che spadroneggiavano sul genere umano e sfruttavano le persone più povere.’ La libertà dal bisogno, l’ignoranza e la malattia, e il rispetto per la dignità e i diritti di ogni individuo, gruppo e società sono i principi cui Nyerere ha dedicato la vita. Proprio agli inizi della sua carriera politica ha dichiarato la povertà, l’ignoranza e la malattia nemiche dell’essere umano, e l’oppressione e lo sfruttamento delle aberrazioni dell’ordine divino. Nyerere era pronto a combatterli nel suo paese e al di fuori di esso, qualunque fosse il prezzo che dovesse pagare lui stesso o la nazione cui era a capo. Nyerere ha dato il suo sostegno a Ojukwu durante la guerra in Biafra perché credeva che in quel momento i diritti umani della gente igbo venissero calpestati dal governo nigeriano dell’epoca, e gli sembrava che l’unico modo per rettificare questa situazione fosse attraverso la secessione del Biafra. Giungere a questa conclusione deve essere stato particolarmente difficile e doloroso per lui, visto il suo dichiarato impegno sulla strada verso l’unità africana. Ma deve avere ritenuto la dignità umana degli igbo di maggiore valore morale del raggiungimento dell’unità a breve termine. In ogni caso un’unità coercitiva non corrispondeva all’ideale di unità di Nyerere.
Lo stesso vale per la seconda repubblica di Obote. Non è stato per semplice amicizia e cieca lealtà nei confronti di Obote che Nyerere gli ha dato il suo tacito sostegno al di là dei dubbi e le accuse di sfruttamento di molti ugandiani che conoscevano in prima persona la corruzione della prima repubblica di Obote. Ma dopo le atrocità di Idi Amin e il totale fallimento del governo di Joseph Lule e Godfrey Binaisa, Nyerere credeva sinceramente che Obote fosse la migliore possibilità per la pace e il rispetto dei diritti umani per le persone dell’Uganda. Questo si è poi rivelato un errore. Quando se ne è reso conto, Nyerere non ha obiettato al passaggio del governo nelle mani di Yoweri Museveni.
Molte valutazioni della carriera politica di Nyerere – anche quando era in vita – equiparano il ‘fallimento’ dell’Ujamaa (lavoro cooperativo) al fallimento di Nyerere, o piuttosto della sua filosofia politica. Ma è stato un fallimento della visione morale di Nyerere? Lo stesso si dice per quel che riguarda i difetti pratici delle sue politiche per l’istruzione e la sanità: anche se ci sono scuole e cliniche, agli studenti mancano i libri e ai pazienti le medicine essenziali. Ma quali fattori hanno influito su questa situazione?
E’ importante tenere a mente i fattori interni e esterni prevalenti all’epoca, che spiegano la situazione. L’opposizione e il boicottaggio attivo da parte occidentale di ogni genere di socialismo al culmine della guerra fredda deve essere considerato uno dei fattori. Un altro il sostegno economico inadeguato per i progetti Ujamaa da parte degli organismi di finanziamento internazionale. All’interno, la corruzione dei funzionari pubblici in Tanzania ha influito negativamente su progetti di sviluppo che erano, per parte loro, ispirati e egualitari, e ha trasformato la Tanzania in una nazione impoverita.
Comunque sia, la preoccupazione principale di Nyerere è sempre stata il miglioramento del benessere fisico materiale, intellettuale e spirituale di ogni singolo tanzaniano. Ogni discussione su Nyerere il politico e Nyerere l’essere umano che sminuisca questo aspetto perde completamente di vista l’aspetto centrale di quest’uomo. Nonostante gli errori, inevitabili per un uomo fallibile, la vita di Nyerere può essere compresa e giudicata con imparzialità soltanto tenendo conto del contesto e sulla base dei suoi assiomi morali. E’ questo che ha reso impeccabile la sua visione politica.
(numero 1 / gennaio – febbraio 2000 / anno 78)
LA TANZANIA PIANGE IL ‘MWALIMU’
di Pierangelo Panzeri
Il continente africano è in lutto: è scomparso Julius Kambarage Nyerere, 77 anni, già presidente della Tanzania. Da tempo era malato, colpito da leucemia, che non gli ha dato scampo. Uomo dalle grandi doti di mediazione e dall’indubbia autorità morale, Julius Nyerere è considerato uno dei ‘Padri’ dell’Africa moderna.
Veniva affettuosamente chiamato ‘Mwalimu’, ossia maestro, in lingua swahili. La sua azione politica ha avuto tre direttrici: saldare 128 etnie del Tanganika in una nazione, creare uno Stato non allineato e costruire una società senza ricchi né poveri. Un progetto che ha mosso i primi passi negli anni Sessanta e che è riuscito nei primi due punti. Il terzo è ancora un ‘sogno’ non solo per la Tanzania, ma per il mondo intero.Figlio di una famiglia di contadiniNyerere nasce nel 1922 a Butima, piccolo villaggio sul lago Vittoria in quello che all’epoca veniva chiamato Tanganika, quasi al confine con il Kenya.
Figlio di una famiglia contadina, studia in una comunità dei Padri Bianchi e a vent’anni è fervente cattolico per scelta personale. Frequenta i migliori collegi dell’epoca coloniale, si laurea all’Università di Makerere, in Uganda e, nel 1952, a Edimburgo, prenderà il ‘Master of arts’ in storia dell’economia.L’anno dopo torna in patria e diventa l’animatore del ‘Tanganika African National Union’ (TANU).Le sue idee, con le quali cerca di coniugare le tradizioni delle diverse tribù a spinte modernizzatrici, se-ducono i contadini. Nyerere è il leader di un gruppo che negli anni successivi prenderà il posto dei Britannici. Il Tanganika, già colonia tedesca, divenne inglese nel 1918, come bottino della prima guerra mondiale. Nel 1961 la Gran Bretagna abbandona il Tanganika e Julius Nyerere assume il ruolo di primo ministro.Storico il passaggio delle consegne che avvenne nello stadio di Dar es-Salaam allo scoccare della mezzanotte dell’8 dicembre 1961: da un lato sir Richard Turnbull, governatore inglese, dall’altro lato Julius Nyerere, il ribelle che sta per prendere le redini della nazione.
Si confrontano due mondi, due epoche: quella degli imperi coloniali che, un po’ in tutta l’Africa, stanno per tramontare, e quella degli africani che sta per prendere il sopravvento. ‘Pur essendo mezzanotte e buio fondo – osservò in quell’occasione Julius Nyerere – in noi c’è tanta luce, quella della speranza di costruire una nazione migliore’.Pochi mesi dopo, con l’uscita dal Commonwealth, Julius Nyerere diventa presidente della nuova Repub-blica. La nuova nazione è tutta da costruire: oltre alla nascita del nuovo Stato (Prenderà il nome di Tanzania), punta alla fusione con Zanzibar e nel 1964 è il Primo Capo di Stato.Il messaggio e l’opera di NyerereIl messaggio che rivolge ai connazionali è semplice : buoni rapporti con l’Oc-cidente, socialismo e collettivizzazione in patria.Una frase, pronunciata all’insediamento a presidente è rimasta impressa nella mente di milioni di africani, non solo della Tanzania : ‘Dobbiamo rievocare noi stessi, riscoprire il nostro spirito originario : nella società africana tradizionale siamo individui in una comunità, noi attingiamo da lei e lei attinge da noi’. Questo slogan funziona almeno all’inizio: Nyerere chiama ‘ujamaa’ il legame della famiglia, della gente dello stesso sangue, che deve diventare il modello di vita sociale del nuovo Stato.
Julius Nye -rere, oltre ad avere il talento del profeta, appartiene ad una generazione che ambisce a costruire un’Africa ricca, diversa da quella che le mani dei colonialisti hanno modellato.Alla conquista dell’indipendenza la povertà è ben visibile ( solo il 4% del territorio è coltivato), poi c’è un groviglio di tribù, etnie (se ne contano 128) e dialetti tra loro incomprensibili.Nyerere è stato il promotore dell’unità tra etnie, razze e religioni.Attualmente la Tanzania è probabilmente la nazione africana maggiormente autoctona. Infatti se oggi si chiede ad un giovane l’origine etnica, la risposta è: ‘Sono tanzaniano’. La scelta dello ‘swahili’ come lingua ufficiale della nazione ha contribuito alla presa di coscienza degli abitanti della TanzaniaDurante l’epoca coloniale il Tanganika era una nazione multirazziale con una minoranza asiatica, una piccola comunità europea e tante etnie. Nyerere è riuscito a ‘saldare’ le tribù e a creare una nazione non allineata. Lo dichiarò ufficialmente a Dar es-Salaam in occasione della visita di importanti capi di Stato europei e dell’ ex-Unione Sovietica. Inoltre non ha mai nascosto le sue convinzioni cristiane, però ha fatto i conti – a livello politico – con un partito (TANU) a maggioranza musulmana.
Il ‘suo’ progetto riuscì a decollare perché dette prova di pazienza nei confronti delle minoranze tribali e religiose. Mal sopportò le ingerenze straniere, soprattutto degli ex-colonizzatori e nel 1967, con la nazionalizzazione del commercio e delle imprese agricole, centinaia di stranieri (soprattutto europei ed asiatici), abbandonarono il Paese africano.L’incontro con i ‘Grandi’ del mondoL’utopia di Nyerere: creare una società egualitaria, basata sulle radici del cristianesimo e del socialismo, nella quale non ci fosse né ricco né povero e soprattutto dove tutti condividevano il cibo e le risorse disponibili. Condividere questo progetto in un ristretto gruppo di persone è facile, realizzarlo in una nazione con più di 25 milioni di abitanti è più difficile. I rapporti con l’Occidente si guastano quando Nye- rere avviò i primi interventi, in particolare la nazionalizzazione delle banche straniere, delle piantagioni e dei pochi impianti produttivi, senza avere personale idoneo a rimpiazzare i manager in fuga. Inoltre caccia dalle scuole secondarie i missionari, senza avere a disposizione insegnanti tanzaniani per sostituirli. Infine rompe le relazioni diplomatiche con Londra.La ‘rivoluzione’ all’interno del Paese non decolla e la formazione di villaggi rurali comunitari diventa obbligatoria.
Nasce così una democrazia alla ‘tanzaniana’, ma Nyerere si rifiuterà di trasformarla in una dittatura.Diventa comunque un interlocutore dell’Africa subsahariana e incontra i ‘grandi’ del mondo : nel 1974 è a Pechino, nel 1980 a Cuba e nel 1980 in Vaticano stringe la mano a Papa Giovanni Paolo II.Sovente Julius Nyerere era impaziente con la Chiesa istituzionale, alla quale chiedeva di dimenticare l’aspetto collettivo della vita per occuparsi solo degli individui. Il merito di Nyerere, riconosciuto anche dagli oppositori, è quello di avere reso ufficiale una lingua autoctona : lo Swahili.A sorpresa si dimette da presidenteIl colpo di scena : il 4 novembre 1985 abbandona spontaneamente l’incarico di presidente. Davanti a tremila persone riunite davanti al Diamond Jubilee Hall pronunciò la frase d’addio : ‘Insieme – disse – abbiamo costruito una nazione… che dire di più ?’.Continuò la sua azione civile, anzi alla sua corte forma i nuovi dirigenti del continente: l’etiope Melles Zenawi, l’eritreo Isayas Afeworki, l’ugandese Yoweri Museveni, il ruandese Paul Kagame, quindi Samora Machel (Mozambico), Robert Mugabe (Zimbabwe), Sam Nujoma (Namibia), Agostino Neto (Angola) e Laurent Kabila (Congo).Il suo sogno di stabilità e rispetto dei diritti umani sembra avverarsi nel maggio del 1997, quando Kabila prende il potere a Kinshasa. L’Africa centrale, da Massawa a Luanda, scopre la pace tra i diversi popoli o nazioni confinanti e si inizia a parlare di sviluppo.
I Leader dei diversi Stati dell’Africa centrale fanno la processione nella fattoria di Butiana – dove il vecchio ‘papa Julius’ si è ritirato. Il ‘sogno’, anzi la speranza, si spegne nel giro di poche settimane. Ben presto ritornano le guerre civili e il massacro tra etnie.Rimane comunque il lavoro del grande Julius Nyerere, che intanto va in ‘esilio’ a Londra per curarsi della grave malattia. Il 14 ottobre scorso si è spento. Per la Tanzania e l’Africa resta indelebile l’impronta di un uomo che ha dato tutto per la sua ‘terra’, coniugando indipendenza, uguaglianza e la profezia del Vangelo.
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